Il secondo sguardo
Mostra di carattere antologico destinata a far conoscere al grande pubblico due figure del tutto singolari nel panorama dell’arte italiana contemporanea.
Due artisti in bilico tra cultura rinascimentale e cultura pop, scherzo barocco e nitore illuministico raccontati da un’ampia retrospettiva.
L’occasione di approfondire la conoscenza dei due artisti è offerta dalla mostra di carattere antologico: le opere di Amodeo al piano terra e quelle di Tavano al primo piano, esposte in un’unica mostra, ma collocate in spazi ben divisi per sottolineare la peculiarità di entrambi. Un sodalizio di vita, prima di tutto, e artistico, che la voluta separazione in due spazi espositivi differenti traduce a beneficio del visitatore. Due linguaggi totalmente diversi, eppure complementari, che scorrono su due rette parallele. Il secondo sguardo è il concetto base e il cardine creativo per entrambi gli artisti, e non a caso è stato scelto dai curatori quale titolo della mostra. Rappresenta infatti un secondo punto di vista, un secondo approccio, un approfondimento del reale e del surreale non percepibile ad una prima occhiata. Nel caso di Savina Tavano è ben percepibile nei suoi lavori paesaggistici ove il secondo sguardo più profondo ci rivela un mondo di interiorità e riflessione quasi inquieto, mentre per Manlio Amodeo trascende il reale quale che sia e ci porta in una dimensione onirica costituita da affascinanti fantasie architettoniche, zoomorfe e prospettiche che dapprima suggestionano l’occhio, e ad un secondo sguardo ci portano nel suo mondo di leggerezza ed ironia a cavallo tra la parodia e l’introspezione più profonda.
Storia di Manlio, Savina e di un torchio litografico a stella
La storia artistica di Manlio Amodeo e Savina Tavano può essere raccontata come un percorso di ricerca di una piena libertà espressiva. Scrive Savina: “Vita dura in questi ultimi centocinquanta anni per gli artisti […] pungolati da un mare di tendenze nuove, fortemente gravati (nonostante le apparenze) da divieti e tabù”. Per niente preoccupati di dover apparire a tutti i costi moderni, i due artisti hanno saputo portare a raccordo la fascinazione per l’arte antica con innumerevoli spunti tratti dalla cultura visiva del secolo in cui sono nati e si sono formati, il ‘900. Il loro unico, inviolabile tabù è stato quello del “mestiere”, la perfetta padronanza delle tecniche espressive da raggiungere a tutti i costi per poter tentare l’ardua impresa di comunicare una propria personale visione.
Chi ha giustamente percepito la loro indistricabile connessione alla grande tradizione pittorica del passato, sarà sorpreso di apprendere che, nel ricordo di Manlio, la passione per la pittura nasce sfogliando un libro sull’arte americana del ‘900, con la folgorante scoperta di American gothic di G.Wood, della pittura di Edward Hopper e delle illustrazioni di Norman Rockwell. Una scoperta seguita dalla decisione di darsi alla cartellonistica pubblicitaria e dall’iscrizione presso la scuola fondata da un genio della pubblicità come Armando Testa.
L’incontro con Savina avviene all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, frequentata da entrambi nella seconda metà degli anni ’50. Nel 1959 la prima mostra, che Manlio riesce a farsi organizzare presso la Galleria San Sebastianello di Roma coinvolgendo due figure di spicco del mercato d’arte italiano del dopoguerra, Gaspero del Corso e la moglie Irene Brin, proprietari della storica Galleria l’Obelisco. Su una parete i lavori di Manlio, su quella opposta i lavori di Savina: da quel momento sarà sempre così. Nel 1960 si sposano e prendono casa a Milano per lavorare come illustratori per la casa editrice Mondadori. Nel 1963 il trasferimento a Firenze per andare a fare lo stesso lavoro per Sansoni. Nel 1966 si spostano a Roma, la loro città d’elezione, il luogo ideale in cui maturano la decisione di abbandonare le arti applicate (con i ben remunerati contratti per l’editoria, in quegli anni in piena espansione) per dedicarsi in modo esclusivo alla produzione artistica.
Deus ex machina di quella svolta di capitale importanza è davvero una macchina: un antico torchio litografico a stella acquistato da Manlio nel 1973 e subito portato nello studio di via della Vetrina, dove diviene il perno di un decennio di sperimentazioni in cui le potenzialità del mezzo sono oggetto di capillare esplorazione. Ne deriva la messa a punto di una laboriosa tecnica di stampa in cui il macchinario non viene usato per ri-produrre serialmente immagini ma per sfruttare la sua capacità di produrre particolari effetti cromatici del tutto pittorici. Con il nome di “pitture litografiche” sono infatti presentate le preziose grafiche tirate dai due coniugi-artisti in pochissimi esemplari se non come pezzi unici. Stampe originali che diventano il veicolo, scrive Claudio Strinati in catalogo, di “un universo di immagini capaci di collegare cultura pop e rinascimentale, scherzo barocco e nitore illuministico.
La stagione della pittura litografica si chiude nel 1985 con una mostra a Palazzo Borghese che la racconta e con il ritorno alla pittura.
Risale agli anni ’80 anche la scoperta della campagna maremmana, l’altro incontro nodale nella vicenda umana e artistica di Manlio e, soprattutto, di Savina. Oggi i due artisti, ancora nel pieno della loro attività, vivono e lavorano nello studio in Toscana.
A cura di Federico Strinati e Claudio Strinati
Informazioni
Dal 21 settembre al 30 ottobre 2022
dal martedì alla domenica ore 9.00-19.00
Ultimo ingresso un'ora prima della chiusura
Giorni di chiusura: lunedì
CONSULTA SEMPRE LA PAGINA AVVISI prima di programmare la tua visita al museo
Consultare la pagina: Biglietti e audioguide
Ingresso gratuito al museo con la MIC card, acquistabile nei musei e online
060608 tutti i giorni dalle 9.00 alle 19.00
A cura di
Federico Strinati e Claudio Strinati
Promossa da
Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
Servizi museali
Zètema Progetto Cultura
Organizzazione
Dialogues raccontare l’arte
Sala stampa
Eventi correlati
1011488